“Pretese” natalizie

L’Inno dei Vespri del tempo del Natale, riportato nella forma originale, dopo la ri-forma di Papa Urbano VIII (1632), ci riserva qualche interessante sorpresa.

La terza strofa ritorna a recitare così:
Salutis auctor, recole
quod nostri quondam corporis,
ex illibata Virgine
nascendo, formam sumpseris.

La “traduzione” ufficiale italiana appare ridotta e, pure, riduttiva: Tu che Maria Vergine prendi forma mortale, ricordati di noi. Più letteralmente: Autore della salvezza, ricorda che un tempo, nascendo da purissima Vergine, assumesti un corpo simile al nostro.

La versione in uso nel Breviario Romano, dal 1632 fino alla Liturgia delle Ore invece era questa:

Memento, rerum Conditor
nostri quod olim corporis
sacrata ab alvo Virginis
nascendo, formam sumpseris.

La variante urbanista potrebbe essere stata ispirata dal celebre Inno Conditor alme siderum, per creare una continuità fra l’innodia di Avvento e quella del Natale. Ma passando dal piano della redenzione e della salvezza a quello della creazione, pare attenuarsi la forza dell’invocazione della preghiera. Anche il verbo, infatti, viene modificato ed è scelto un più generico e diffuso “Memento”.

Il verbo originale pare più incisivo: “recole”, da recolo,-is, recolui, recultum, -ere. Non solo “memoria” o ricordo, quindi, ma qualcosa di più (fra l’altro recolere è legato a colere, da cui cultum): si tratta di un ricordo fattivo, di una rivisitazione efficace, di un onorare di nuovo. Il soggetto di tale azione non è però l’uomo, ma il Signore Gesù: Ricordati di quanto hai fatto, onora di nuovo l’adempimento delle tue promesse di salvezza! Guarda che una volta sei stato così buono da assumere la nostra forma corporea e la nostra debolezza: non sarai più buono con noi? Non sarai dunque più fedele(1) alla tua condiscendenza?

Pare una preghiera “sfrontata”, quasi una pretesa irrispettosa, ma di certo nulla in confronto a quanto afferma Guglielmo, abate di Saint-Thierry:

Noi rivendichiamo per noi un’affinità profonda con te, visto che il Figlio tuo grazie allo Spirito di adozione non disdegna di assumere lo stesso nostro nome. Per lo Spirito della tua adozione siamo ormai certi che tutto ciò che è del Padre è anche nostro.

Guglielmo di Saint-Thierry, De contemplando Deo, IV, 11, 5-8.

_____

(1) Cf. la lettura dell’Ufficio del Mercoledì della seconda settimana di Avvento, tratta dal Commento sui Salmi di sant’Agostino: “Fedele è Dio che si fece nostro debitore non perché abbia ricevuto qualcosa da noi, ma perché ci ha promesso cose davvero grandissime. Pareva poco la promessa: Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l’ordine dei pagamenti. […] Sembrava però incredibile agli uomini ciò che Dio prometteva: che essi dalla loro condizione di mortalità, di corruzione, di miseria, di debolezza, da polvere e cenere che erano, sarebbero diventati uguali agli angeli di Dio. E perché gli uomini credessero, oltre al patto scritto, Dio volle anche un mediatore della sua fedeltà. E volle che non fosse un principe qualunque o un qualunque angelo o arcangelo, ma il suo unico Figlio, per mostrare, per mezzo di lui, per quale strada ci avrebbe condotti a quel fine che aveva promesso. Ma era poco per Dio fare del suo Figlio colui che indica la strada: rese lui stesso via perché tu camminassi guidato da lui sul suo stesso cammino” (Sal 109,1-3: CCL 40,1601-1603).

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