In san Leone Magno la profondità della riflessione cristologica ha immediate ricadute sulla comprensione teologica delle celebrazioni. Anche ad una lettura corsiva delle opere del grande Papa è chiaramente evidente quanto cristologia e liturgia siano connesse; viceversa può rendersi evidente come tante odierne difficoltà in ambito liturgico siano in verità legate a cristologie parziali e mancanti.
Riprendiamo pertanto, in questo giorno della memoria liturgica di S. Leone Magno, alcune riflessioni sintetiche di Salvatore Marsili: il testo, da cui attingiamo pochi passaggi, è una serie di lezioni tenuto al Corso estivo per le monache benedettine a Fabriano (Montefano) nel luglio 1980. Si nota il carattere discorsivo dell’argomentare, ma non per questo meno efficace e chiaro; anche le diverse citazioni dei testi di Leone Magno che si susseguono una dopo l’altra, quasi estrapolate dal contesto originale si spiegano con il tenore del testo.
Cristo è il centro unico della storia della salvezza:
“Dio non ha provveduto alle cose umane con un nuovo progetto e neppure con una misericordia giunta troppo tardi, ma dalla fondazione del mondo ha stabilito l’unica e massima causa di salvezza per tutti. La grazia di Dio, infatti, per cui la universalità dei santi vengono giustificati, si è associata con la nascita di Cristo, ma non è cominciata allora; e questo grande sacramento di pietà di cui ormai tutto il mondo è pieno, fu tanto potente anche nelle sue figure, che poterono impossessarsi di esso quelli che lo credettero promesso non meno di quelli che l’accolsero donato”.
“Fra tutte le opere della misericordia di Dio, che fin dal principio del mondo sono state operate da lui per la salvezza degli uomini, niente è più mirabile, nulla più sublime del fatto che Cristo è stato crocifisso per il mondo. A questo sacramento servirono tutti i misteri dei secoli precedenti, e tutto quello che nei differenti sacrifici, nei segni profetici e nelle istituzioni della legge è stato variamente disposto, tutto annunciava ciò che è avvenuto oggi, prometteva ciò che doveva compiersi: in modo che oggi, cessando le immagini e le figure, a noi giova quello che è avvenuto, come prima giovava quanto doveva avvenire”
“Nei nostri tempi, che sono quelli del Vangelo, non siamo più condotti alla fede per segni ed immagini ma, confermati dalla storia evangelica, crediamo ed adoriamo ciò che è già avvenuto”
“La sapienza e la benignità di Dio, col salutare indizio della sua opera, ci rese più capaci di accogliere la sua vocazione in modo che quello che con molti segni, con molte parole, con molti misteri era stato preannunziato durante tanti secoli, non fosse ambiguo in questi giorni del Vangelo”.
Il sacramento consta di gesti-azioni umane, nella quali non solo si riflette (segno) l’azione salvifica, ma di gesti-azioni che hanno un’effettiva forza di salvezza perché sono azioni di Dio fatto uomo, cioè azioni di natura umana, ma di potenza divina; pertanto per via di natura umana conferiscono una realtà divina. E’ questo il concetto dell’Incarnazione, nella quale c’è tutto l’uomo, vero uomo, perfetto uomo e tutto Dio, vero Dio, perfetto Dio, uniti nella persona divina del Figlio di Dio. Quindi le azioni di Cristo hanno un’effettiva forza di salvezza non perché sono azioni umane, ma perché sono azioni di Dio fatto uomo; cioè la natura dell’azione rientra nel campo umano, ma la potenza dell’azione rientra nel campo divino; si può quindi affermare che pur essendo di natura umana, queste azioni conferiscono all’uomo una realtà divina.
Il sacramento della salvezza non è chiuso nella storia passata ma è presenza operante nel tempo. Abbiamo già visto come Leone metta la ‘evangelica historia’ e ‘i giorni del Vangelo’ in opposizione con quelli che furono i ‘segni profetici e legali’ per cui dice: Noi che siamo nella storia siamo più capaci di ricevere la realtà – oppure: Noi che siamo nella storia accogliamo con una fede più ferma – oppure: Noi nella storia siamo confermati. Ma questo non è chiudere la storia. Per lui essa è il ‘dies evangelii’, cioè la storia di cui parla è la realtà storica che, cominciata col Vangelo, continua fino a quando, all’ultimo uomo, verrà annunziato il Vangelo. E’ la storia che esiste nel Vangelo e il Vangelo è un annunzio che è cominciato e non è finito. La realtà dell’avvenimento storico della salvezza fa sentire la sua efficacia anche al presente nell’azione liturgica dei sacramenti.
“Tutto quello che il Figlio di Dio ha compiuto per la riconciliazione del mondo, noi non lo conosciamo solo attraverso la storia di azioni passate ma lo sentiamo efficace anche in ciò che egli fa al presente. E’ ancora lui infatti che, generato di Spirito Santo da Madre Vergine, con il medesimo Spirito feconda oggi la incontaminata sua Chiesa, in modo che il battesimo diventi un parto per il quale viene generata una innumerevole moltitudine di figli di Dio”.
Abbiamo già detto che è nella natura del sacramento essere stato efficace sia quando era promesso nel futuro e sia quando fu un fatto compiuto, perché dice ancora Leone ‘esso non ha mai cessato di essere attivo per il passare del tempo’. Cristo non ha salvato l’uomo di un giorno o per un giorno: finché l’uomo esiste, esiste la salvezza dell’uomo. Dato che la promessa della salvezza sta al principio del tempo, finché dura la promessa e va verso la sua realizzazione, si sta in un tempo di preparazione, il quale è un processo che cresce gradualmente. Entrato in fase di realizzazione in Cristo, il mistero della salvezza diventa fatto compiuto e, come tale, si inserisce nel tempo. Il tempo diventa tempo dell’evento compiuto e in esso il sacramento della salvezza continua ad esistere nella sua realtà. I sacramenti (della Chiesa) sono i momenti nei quali, nel succedersi del tempo, continua ad esistere e agire il sacramento della salvezza. […] La salvezza operata da Cristo era un ‘sacramento’, perché nell’azione visibile e concreta della sua umanità (segno sacro) si realizzava invisibilmente la salvezza. Cristo diventando uomo rende visibile il disegno di Dio ed è questo disegno di Dio, reso visibile, che rende all’uomo la salvezza invisibile. Dopo l’ascensione, il momento visibile della salvezza non è più nell’umanità di Cristo, che è assente, ma nel segno sacro rituale che sostituisce Cristo (ne è il sacramento) in quanto come lui è visibile e come lui provoca la salvezza invisibile. Quindi dopo l’ascensione il momento essenziale di salvezza non è più direttamente nell’umanità di Cristo, ma nel rito che ha il compito di sostituire l’umanità di Cristo.
S. Marsili, «Il mistero di Cristo in prospettiva liturgica», in Id., Mistero di Cristo e liturgia nello Spirito, Città del Vaticano 1986, 119-160.