Vetus Ordo contro Novus Ordo: nihil novi sub sole

Nella liturgia, come in tanti altri ambiti, la storia viene in soccorso, impedendo di cadere in assolutizzazioni o in reazioni spropositate ed emozionali, che allontanano dalla lucidità necessaria per affrontare questioni delicate e importanti.
Secondo alcuni, ad esempio, la situazione della liturgia dopo la riforma avviata dal Concilio Vaticano II sarebbe giunta ad un livello di decomposizione tale da costituire un unicum assolutamente nuovo e sconvolgente. E non mancano, a proposito, zelanti paladini di una restaurazione dell’antico, come sola garanzia della preservazione della vera e ortodossa liturgia.
Senza negare i problemi e le difficoltà di oggi, può essere utile e consolante rileggere alcune pagine della storia liturgica. Un esempio preclaro può essere la vicenda della crisi della penitenza cosiddetta canonica e la sorprendente diffusione della penitenza tariffata. Si tratta di un momento di evidente discontinuità formale fra due modi di amministrare la riconciliazione. Senza entrare nelle complesse questioni relative, ci interessava far notare le reazioni di fronte alla novità. Mentre alcune chiese locali adottarono senza particolari problemi un sistema penitenziale che provvidenzialmente rimediava a una prassi ormai sterile e impraticabile – la penitenza canonica appunto – altri pastori, del tutto legittimi e ugualmente autorevoli, si opposero con veemenza, esplicitata in modo assai duro anche ad un livello gerarchico elevato, quale le formulazioni canoniche di un Concilio locale. Ci riferiamo al terzo concilio di Toledo (589), capitale del regno visigotico:

«Abbiamo saputo che, in alcune chiese di Spagna, i fedeli fanno penitenza dei loro peccati non secondo la maniera canonica (non secundum canones), ma in un modo scandaloso (foedissime): ogni volta che hanno peccato chiedono di essere riconciliati dal sacerdote. Per reprimere una così esecranda audacia (pro coercendo tam execrabili praesumptione…), la nostra santa assemblea ha decretato che si dia la penitenza secondo la forma canonica degli antichi…» (1)

L’insolito rigore espresso in tale canone comunque non fermò la diffusione della penitenza tariffata e la diffusione di quel particolare genere di “libro liturgico” costituito dai libri penitenziali, una sorta di prontuari ad uso dei confessori, che regolava con scrupolo una corrispondenza fra peccato e penitenza (digiuni, elemosine, pratiche di pietà e mortificazioni varie). Nella progressiva copiatura e diffusione di tali libri non mancarono grossolani errori di attribuzione e sviste, generando talvolta confusione e incertezza, nel sanzionare un peccato o nell’offrire la possibilità di commutare la penitenza prescritta con altre forme di soddisfazione. Un sussulto dello sdegno per questa forma di riconciliazione si ebbe così, ad esempio, nel Concilio di Parigi (829):

«A tutti noi è sembrato necessario che ogni vescovo faccia cercare nella sua diocesi questi opuscoli e li faccia bruciare!» (2).

Grazie a Dio, seppure non siano mancate – e continuino a non mancare, a dispetto di quanto desiderava Benedetto XVI – accuse pesanti verso il cosiddetto Novus Ordo, finora non si è arrivati, almeno per quanto ne sappiamo, ad invocare il rogo dei nuovi libri liturgici. Tuttavia la riconciliazione liturgica ancora sembra lontana, e il possibile mutuo arricchimento è impedito da prese di posizioni e arroccamenti che dimenticano le lezioni della storia. Le responsabilità non dipendono solo da una parte.

______

(1) Concilio di Toledo III, cit. in C. Vogel, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, Leumann (TO) 1988, 282.

(2) Concilio di Parigi, can. 82; cit. in Vogel, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, 160.

Cf. anche A. Santantoni, La penitenza. Una pagina di storia antica utile per i nostri giorni, Leumann (TO) 1983.

Cf. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2007/documents/hf_ben-xvi_let_20070707_lettera-vescovi_it.html

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