Chi abbia avuto modo di pregare, ieri, l’Ufficio delle Letture dell’Ascensione e, poi, in questi giorni parteciperà alla celebrazione feriale dell’eucaristia, potrà notare una curiosa insistenza sul Salmo 67. Per quel che riguarda la Liturgia delle Ore abbiamo potuto mostrare – si può vedere il post precedente – un testo in cui si giustifica la scelta di tale salmo nell’ufficiatura dell’Ascensione; per la Liturgia della Parola, invece, non abbiamo contezza delle motivazioni per le quali si è assegnato, come salmo responsoriale, il salmo 67 appunto nel lunedì, martedì e mercoledì successivi a questa solennità. Tre delle cinque occorrenze di tale salmo come salmo responsoriale nella celebrazione della messa sono concentrate, per di più di seguito, in questa settimana (1). Può essere una coincidenza? Non siamo in grado, lo ripetiamo, di fornire una testimonianza certa che appoggi la nostra ipotesi, ma allo stesso tempo ci pare assai probabile che la scelta sia dovuta al fatto che il salmo 67 è stato tradizionalmente collegato a questo aspetto del mistero pasquale (2).
Ancora una volta, maestro insuperabile nel sintetizzare in pochi paragrafi tutto il ricchissimo portato dell’interpretazione patristica è J. Daniélou, al quale volentieri lasciamo la parola: la sua erudizione ci farà apprezzare ancora meglio il lezionario liturgico di questi giorni, anche in un aspetto talvolta trascurato qual è il salmo responsoriale:
Il terzo salmo dell’Ascensione, dopo il 23 ed il 109, è il Salmo 67. Questo salmo è applicato a tale mistero anche dal Nuovo Testamento, in un passo particolarmente significativo: “A ciascuno di noi la grazia è stata conferita secondo la misura del dono di Cristo. Per questo di Lui è detto: è salito in alto, ha condotto molti prigionieri, ha fatto doni agli uomini. Orbene che cosa significa: E’ salito, se non che prima era disceso nelle regioni inferiori della terra? Colui che è disceso è lo stesso che è salito ed ha riempito tutto. E’ Lui anche che ha costituito alcuni apostoli, altri profeti” (Ef 4,7-11). Ritroviamo in questo passo, allo stesso tempo, l’opposizione tra l’“ascensus” ed il “descensus”, così come l’Ascensione di Isaia ce lo ha proposto, e il legame tra l’Ascensione e la Missione.
Un punto della traduzione del salmo ad opera di san Paolo, per l’importanza relativa a quanto stiamo trattando, attira la nostra attenzione: dove il testo ebraico parla di doni “ricevuti” da Jahweh, Paolo parla di doni “dati” da Cristo. Trattasi di modifica intenzionale, in funzione, secondo Balthasar Fischer, della “cristologizzazione ” del Salmo. Quel che nell’Antico Testamento attiene a Jahweh, qui è legittimamente applicato a Cristo. E il cambiamento apportato al testo mostra bene il passaggio dall’Antico Testamento al Nuovo. Ma quel che più ci interessa è che ciò evidenzia il carattere cristologico dell’interpretazione dei Salmi da parte della Chiesa primitiva. Quel che san Paolo vi vuole valorizzare, non è tanto l’espressione della trascendenza di Dio che ne costituisce il senso letterale, quanto quello della misericordia di Cristo che ne rappresenta il significato tipologico; solo questo senso profetico interessa l’Apostolo. La tradizione patristica seguirà l’interpretazione paolina del salmo: Giustino l’applica all’Ascensione (Dial., XXXIX, 1 e LXXX-VII, 6); sant’Ireneo scrive: “Risuscitato dai morti, doveva salire al cielo, secondo la profezia di Davide: il carro di Dio sono le migliaia e migliaia di angeli; il Signore è tra di essi, al Sinai, nel santuario. Egli sale nelle altezze, conducendo le schiere dei prigionieri; ha dato doni agli uomini. Il profeta chiama prigionia l’abolizione del potere degli angeli ribelli. Ed ha indicato il luogo dove Egli doveva elevarsi dalla terra al cielo, perché il Signore, dice, è salito da Sion, cioè dalla montagna di fronte a Gerusalemme, chiamata monte degli Olivi. Dopo essere risuscitato dai morti, raduna i suoi discepoli e, davanti ai loro occhi, ascende al cielo; costoro videro i cieli che si aprivano, per riceverlo” (Dem., 83; PO XII, 793). Origene, scrutando lo stesso versetto, in relazione a quello di Matteo 12,29, vi scorge la profezia della partecipazione dei giusti alla Resurrezione e all’Ascensione: “Egli ha cominciato con il legare il demonio alla croce e, entrato nella sua casa, cioè nell’inferno, ne è asceso verso l’alto, conducendo con sé i prigionieri, cioè coloro che sono risuscitati ed entrati con Lui nella Gerusalemme celeste” (Co.Ro., V,10; PG XIV,1052 A). Ma questi versetti non sono i soli che, nel nostro salmo, si riferiscono all’Ascensione: c’e il versetto 34, per esempio, che parla di Jhaweh che “sale sul cielo del cielo ad Oriente”. Questo versetto ha una grande imponanza per la storia liturgica: asserisce, infatti, che l’Ascensione di Cristo ha avuto luogo in Oriente. Ed è su questa affermazione che la “Didascalia degli Apostoli” (II, 57,5) si basa per giustificare l’uso della preghiera verso Oriente. Gli angeli dell’Ascensione avevano annunciato, infatti, che “il Cristo sarebbe ridisceso cosi come era salito al cielo” (Atti 1,11): da ciò l’attesa dall’Oriente del ritorno di Cristo. Per Erik Peterson sta in ciò la primitiva origine dell’orientamento della preghiera: essa costituisce l’attesa del ritorno di Cristo che deve apparire da Oriente. Tuttavia, considerata l’antichità di questo modo di pregare, se esiste un rapporto tra questo e l’applicazione del salmo all’Ascensione, ciò significa che l’applicazione del nostro versetto all’Ascensione è ancora più antico e data, addirittura, dai tempi apostolici. Tuttavia per l’esegesi del salmo si presenta una difficoltà. Infatti se qui si tratta di un’Ascensione ad Oriente, il versetto 5 afferma: “Preparate la strada a Colui che sale ad Occidente”. Questa difficoltà è stata risolta in modo diverso: Eusebio vi ritrova la stessa opposizione che c’era nell’Epistola agli Efesini tra il “descensus” e l’“ascensus”: “Il testo aggiunge: E’ Lui che è salito nel cielo del cielo ad Oriente. Ciò corrisponde esattamente a quello già scritto poco prima: preparate la strada a Colui che sale ad Occidente. Conveniva infatti che dopo aver appreso la sua discesa, noi fossimo informati circa la sua risalita. La sua discesa ha avuto luogo a Occidente per l’oscuramento dei raggi della sua divinità; la sua Ascensione avviene, invece, nel cielo del cielo ad Oriente per la restaurazione (“apocatastasis”) gloriosa nei cieli” (PG XXIII, 720). I1 simbolismo dell’Occidente e dell’Oriente era, lo sappiamo, familiare alla comunità antica: nei riti del Battesimo, ad esempio, la rinuncia a Satana aveva luogo rivolti verso Occidente, l’adesione a Cristo verso Oriente. Eusebio, da parte sua, ci illustra questo simbolismo: “Comprenderai quello di cui si parla attraverso il paragone del sole: come, dopo essere tramontato all’orizzonte occidentale, compie una corsa invisibile per cui perviene a quello orientale, da cui si alza diritto al cielo, illuminando ogni cosa e donando al giorno la sua luce; così, il Signore ci è mostrato nella sua ascesa ad Oriente, dopo essere, per cosi dire, tramontato al tempo della sua Passione e passato attraverso la regione invisibile della morte” (PG XXIII, 720 A). Atanasio offre la stessa interpretazione: l’“occasus” è la discesa agli Inferi, l’“Oriente” l’Ascensione (PG XVII, 294 B,303 D). Incontriamo un’altra interpretazione, ad opera di Gregorio di Nissa, dell’“ascensus super occasum”: l’“ascensus” designa la vittoria di Cristo sulla morte, di cui l’“occasum” é il simbolo. “Il peccato dell’uomo causò la sua espulsione dal Paradiso. Egli lasciò l’Oriente (Gen 2,8) per abitare in Occidente. A causa di ciò è ad Occidente che l’Oriente apparirà (Zac 6,12): lodate il Signore che sale ad Occidente, affinché il sole illumini le tenebre” (PG XLVI, 496A). Si noterà, in questo testo, la corrispondenza mutua tra le allusioni ai passi dell’Antico Testamento in cui si fa menzione di “Cristo-Oriente”. L’abbandono dell’Oriente per l’Occidente, come equivalente dell’esilio al di fuori del Paradiso, è un tema che risale ad Origene. La stessa idea è ripresa da sant’Ilario, in dipendenza senza dubbio da un’altra fonte. Sant’Ilario conosce le due interpretazioni (PL IX, 467B) ma insiste sulla seconda: “Tutto ciò che viene alla vita conosce un tramonto: questo è figura della morte. Occorre dunque glorificare e preparare la strada a Colui che risorse dal tramonto della morte, cioé a Colui che ha trionfato su ogni tramonto, sul tramonto della nostra morte attraverso la sua Resurrezione. E’ questa la gioia degli Apostoli quando lo videro e lo toccarono dopo la sua Resurrezione” (PL IX, 446B). La vittoria sull’“Occasus” è dunque qui la Resurrezione che precede l’Ascensione, mentre per Eusebio ed Atanasio, come riportato sopra, essa è la discesa agli Inferi.J. Daniélou, Bibbia e Liturgia, Roma 1998, 274-277.
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(1) Cf. F. M. Arocena, Psalterium liturgicum. Psalterium crescit cum psallente Ecclesia, Vol. II Psalmi in Missalis Romani Lectionario, Città del Vaticano 2005, 53.
(2) Le antifone del salmo nell’Ufficio delle Letture dell’Ascensione suggeriscono in modo deciso, ma per nulla forzato, tale cristologizzazione del testo salmico: 1 Ant.: Cantate al Signore, inneggiate al suo nome, a lui che è portato sulle nubi del cielo, alleluia; 2 ant.: Cristo, salito in alto, ha liberato i prigionieri, alleluia; 3 ant.: Ecco, appare nel santuario del cielo il corte del mio Dio, del mio re, alleluia.