Fa sempre bene, nello sforzo di comprendere e vivere meglio la liturgia, non dimenticare le origini dei segmenti rituali. Non deve sorprendere il fatto che molti dei riti liturgici, complessi o minimi che siano, abbiano, all’inizio, una spiegazione, passi l’espressione, del tutto pratica.
La confezione straordinaria delle specie eucaristiche nella messa del giovedì santo era in funzione della comunione sacramentale del giorno dopo, in cui non era celebrato il sacrificio eucaristico. L’abbondanza di particole rendeva quindi necessaria la conservazione in un luogo a parte, come poteva essere la sacrestia. Sembra che originariamente venisse conservato anche il vino consacrato.
Questo segmento rituale era dunque una semplice traslazione, più che una processione. Man mano, come frutto della devozione eucaristica, cresce l’apparato e la solennità con cui vengono accompagnate le specie eucaristiche (dal XI sec. sparisce l’usanza di conservare il vino consacrato). Si sceglie come luogo della conservazione un altare di qualche cappella laterale, ornato in modo speciale. Era quasi inevitabile che a tale rito venisse associata una interpretazione simbolica. Anche se non tutti gli storici della liturgia sono unanimi nell’attribuirne l’idea (Amalario nel sec. IX? altri liturgisti medioevali?), i fedeli, ormai esclusi dalla comunione eucaristica, fecero propria la suggestione che quel tabernacolo provvisorio potesse essere concepito come immagine del sepolcro di Cristo (non parve strana tale interpretazione, nonostante la liturgia non avesse ancora celebrato la passione e la morte del Signore, sottolineature – queste- del venerdì santo).
Di questa devozione al “sepolcro”, o anche ai “sepolcri”, con la visita dei vari altari della reposizione approntati nelle varie parrocchie del paese o della città, si hanno ancora persistenti echi nelle usanze del popolo di Dio, nonostante le ripetute esortazioni di parroci che vorrebbero, seguendo le riforme della liturgia della settimana santa, offrire una più profonda possibilità di meditazione, contemplazione e preghiera nella sera del giovedì santo che non una mimesi del “funerale del Signore”. Ma sembra non abbiano tanto esito le rampogne di sacerdoti forse troppo zelanti che, ammonendo stancamente “Non è il sepolcro!!”, deludono fedeli, magari già pronti alla devozione tombale (ci è capitato di vedere fedeli e fedeli già inginocchiati all’altare della reposizione ancora prima dell’inizio della S. Messa in Coena Domini, con il tabernacolo aperto e visibilmente vuoto, i ceri spenti, etc…ma forse la loro fede supera quella dei liturgisti?). A proposito, anche taluni liturgisti paiono arrendersi: “Ci si potrebbe chiedere se non sarebbe possibile introdurre nella nostra liturgia del Venerdì Santo una celebrazione della sepoltura di Cristo, ispirandosi, ad esempio, alla liturgia bizantina. La realizzazione di questa proposta potrebbe avere conseguenze pastorali non indifferenti. Occorre però riconoscere che una celebrazione del genere non è mai stata pensata né tanto meno attuata nella liturgia romana, per la quale, se la morte di Cristo costituisce un elemento fondamentale del mistero pasquale, essa è tuttavia considerata nel suo movimento verso un vertice sommo, che è la risurrezione. L’esperienza sembra comunque indicare che in numerose Chiese locali ciò non venga compreso e che i fedeli durante la settimana santa siano come alla ricerca della sepoltura di Cristo che continuano a confondere con il ‘tabernacolo provvisorio’ del giovedì santo” (1).
Né è sufficiente la rigorosa ed esatta distinzione fra una normale adorazione eucaristica, in cui le specie eucaristiche sono esposte, e la particolarissima adorazione della riserva del giovedì santo, riservata propriamente per la comunione del giorno dopo: “la processione all’altare della reposizione, dopo la messa della Cena del Signore, è completamente diversa da altre processione con il Santissimo Sacramento. Ciò che si trasporta il Giovedì santo è una pisside piena di ostie consacrate che continua a far parte dell’azione eucaristica più ampia e non una singola ostia, non spezzata, collocata al centro dell’attenzione” (2) del culto eucaristico fuori della messa. La terza edizione tipica, l’ultima, del Messale romano aggiunge una rubrica interessante: “Se la celebrazione della Passione del Signore il Venerdì seguente non ha luogo nella stessa chiesa, la messa termina nel modo consueto e il Santissimo Sacramento viene posto nel tabernacolo”, senza, quindi, solenne processione. Tuttavia, per il popolo fedele, queste, paiono sottigliezze da specialisti. Sembra invece più saggio, oltre alla precisione rubricale, offrire contenuti spirituali più forti e più coinvolgenti.
Ci ha piacevolmente sorpreso, in questo senso, una suggestione che raccogliamo da un testo di J. Ratzinger, che ancora una volta ci conferma la sapienza libera e audace di questo maestro della fede:
Al termine della liturgia del Giovedì Santo la Chiesa imita il cammino di Gesù, portando il Santissimo fuori dal tabernacolo in una cappella laterale, che sta a rappresentare la solitudine del Getsemani, la solitudine della mortale angoscia di Gesù. I fedeli pregano in questa cappella, vogliono seguire Gesù nell’ora della sua solitudine, affinché essa cessi di essere solitudine. Questo cammino del Giovedì Santo non deve rimanere un mero gesto e segno liturgico. Deve essere per noi compito di entrare sempre nella sua solitudine, di cercare sempre lui, il dimenticato, il deriso, là dove egli è solo, dove gli uomini non vogliono riconoscerlo e di stare con lui. Questo cammino liturgico è per noi esortazione a cercare la solitudine della preghiera. Ma è anche invito a cercarlo fra coloro che sono soli, dei quali nessuno si preoccupa, ed a vegliare con lui, e con lui nel mezzo delle tenebre rinnovare la luce della vita, che è “lui”. Perché è il suo cammino che in questo mondo ha fatto sorgere il nuovo giorno, la vita della Risurrezione, che non conosce più la notte.
J. RATZINGER, Il cammino pasquale, Milano 2003, 96.
(1) A. Nocent, “Il triduo pasquale e la settimana santa”, in Anamnesis, 6, L’anno liturgico, 1989, 114-115.
(2) P. Regan, Dall’Avvento alla Pentecoste. La Riforma liturgica nel Messale di Paolo VI, Bologna 2013, 178.