In questa settimana può essere utile e interessante rileggere, in preparazione alla domenica e alla proclamazione del vangelo di Lazzaro, il commento che sant’Agostino propone su questa pagina di vangelo. Nonostante non si possano addurre prove certe, alcuni studiosi ritengono che la lettura di questo vangelo avesse a che fare, in qualche modo, con la riconciliazione dei penitenti: comunque è senza dubbio da questo brano di Gv che sant’Agostino sviluppa con predilezione la sua teologia della riconciliazione.
Nel Trattato sul Vangelo di Giovanni, il commento al capitolo 11 è molto lungo e articolato. La prima cosa che ci viene ricordata è che nei vangeli sono tre i miracoli di resurrezione.
«Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore, e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni, oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa (Domini quippe facta non sunt tantum modo facta, sed signa. Si ergo signa sunt, praeter id quod mira sunt, aliquid profecto significant)» (49,2).
Prima di andare avanti con il commento, riportiamo qui anche i due brani evangelici citati, oltre a quello di Lazzaro, che ascolteremo domenica prossima.
Mc 5,22-23.35-36.38-42:
E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva. Andò con lui. […] … dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto si diceva, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. […] Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Ed lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum!”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!” Subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Lc 7,11-15
In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di un madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione e le disse: “Non piangere!”. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te, àlzati!” Il morto si mise seduto, e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Sant’Agostino collega questi due episodi a due situazioni di peccato, il peccato occulto (consenso prestato a pensieri malvagi) e peccato anche tradotto in opere (il male è uscito, ormai è fuori). Per queste due situazioni c’è possibilità di remissione. Ora, con Lazzaro, siamo di fronte al caso più grave. Ma, prima di andare a Betania, vediamo per esteso come Agostino rilegge i due casi citati prima:
«Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede. Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova, che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15); risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la morte dell’anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore, per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato, pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso più grave, che è l’abitudine perversa. Una cosa infatti è peccare, un’altra è contrarre l’abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora prigioniero dell’abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già mette fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra, corrotto, oppresso dal peso dell’abitudine? Né tuttavia la potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così» (49,3).
Ancora un particolare interessante: prima di giungere a commentare il vertice dell’episodio, sant’Agostino si sofferma sui quatto giorni della sepoltura di Lazzaro: “Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro” (Gv 11,17):
«Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser rappresentata in più modi. Quando l’uomo nasce, nasce già con la morte; perché eredita da Adamo il peccato. E’ per questo che l’Apostolo dice: Per causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte, e in tal modo la morte passò in tutti gli uomini in cui tutti hanno peccato (Rm 5, 12). Ecco il primo giorno della morte, che l’uomo deriva dalla sua triste origine. Poi cresce, comincia a toccare l’età della ragione per cui prende coscienza della legge naturale che tutti gli uomini portano scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Forse che questo s’impara sui libri, e non si legge invece nelle pagine della natura stessa? Vuoi forse essere derubato? Certamente non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo cuore: Non fare ciò che non vuoi per te. Ma gli uomini trasgrediscono anche questa legge: ed ecco il secondo giorno della morte. Dio promulgò la legge per mezzo di Mosè suo servo; in essa sta scritto: Non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo prossimo (Es 20, 12-17). Questa è la legge scritta, ed anch’essa viene disprezzata: ecco il terzo giorno della morte. Che cosa rimane? Viene il Vangelo, viene annunciato il Regno dei cieli, ovunque si predica Cristo; si minaccia l’inferno, si promette la vita eterna; ma anche questa legge viene disprezzata; gli uomini trasgrediscono il Vangelo: ecco il quarto giorno della morte. A ragione si può dire che ormai il morto emana fetore. Non ci sarà dunque misericordia per costoro? Non è possibile. Il Signore non disdegna di accostarsi anche a tutti questi morti per risuscitarli» (49,12).
Ricapitolando, nei quattro giorni trascorsi da Lazzaro nella tomba sarebbero significati il peccato originale, il peccato contro la legge naturale, il peccato conto la Legge di Mosè e il peccato contro la legge evangelica. Da uno studio di Nocent apprendiamo che “questa interpretazione lascerà tracce in numerosi testi liturgici. Il prefazio della benedizione dei cimiteri parlerà del peso quadruplice dei peccati. Un antico prefazio di questo giorno riprende la stessa espressione: ‘Nella fragilità della sua natura umana, egli ha pianto Lazzaro e lo ha reso alla vita con la potenza della sua divinità e ha risuscitato il genere umano sepolto sotto il quadruplice peso del peccato” (A. Nocent, Celebrare Gesù Cristo. L’anno liturgico, 3, Quaresima, Assisi 19963, 166). Una situazione apparentemente disperata e irrimediabile, quella di Lazzaro, e quella di un peccatore ormai incallito, gravato da tanti e tali peccati? Potrebbe sembrare, ma – colpo di scena – Gesù si turba e freme: “Gesù scoppiò in pianto..ancora una volta commosso profondamente..” (Gv 11,35.38):
«Ho parlato della potenza; ora vediamo il significato del suo turbamento. Lazzaro morto da quattro giorni e chiuso nel sepolcro è simbolo di un grande peccatore. Perché si turba il Cristo, se non per insegnarti che tu devi metterti in agitazione quando ti vedi oppresso e schiacciato da tanta mole di peccati? Ti sei esaminato, ti sei riconosciuto colpevole, ti sei detto: ho fatto quel peccato e Dio mi ha perdonato; ho commesso quell’altro e Dio ha differito il castigo; ho ascoltato il Vangelo e l’ho disprezzato; sono stato battezzato e sono ricaduto nelle medesime colpe; che faccio? dove vado? come posso uscirne? Quando parli così, già il Cristo freme perché in te freme la fede. Negli accenti di chi freme si annuncia la speranza di chi risorge [In voce frementis apparet spes resurgentis]. Se dentro di te c’è la fede, dentro di te c’è Cristo che freme: se in noi c’è fede, in noi c’è Cristo. […] Ascolta ancora: Cristo ha pianto, l’uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha pianto se non perché l’uomo impari a piangere? Per qual motivo fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell’uomo, giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca l’abitudine al peccato? […] Egli fremerà anche in te, se sei disposto a rivivere. Per ognuno che sia sotto il peso di un’abitudine perversa vien detto che Cristo si reca al sepolcro. Era una grotta, contro la quale era stata posta una pietra (Gv 11, 38). Il morto sotto la pietra rappresenta il colpevole sotto la legge. Sapete infatti che la legge data ai Giudei fu scritta sulla pietra (cf. Es 31, 18). Tutti i colpevoli sono sotto la legge, mentre quelli che vivono bene sono con la legge. La legge non serve per il giusto (cf. 1 Tim 1, 9). Che significa dunque la parola del Signore: Levate via la pietra (Gv 11, 39)? Significa: Proclamate la grazia. L’apostolo Paolo infatti dice di essere ministro del Nuovo Testamento, non della lettera ma dello spirito, poiché la lettera uccide – egli dice – mentre lo spirito vivifica (2 Cor 3, 6). La lettera che uccide, è come la pietra che opprime. Levate via la pietra! egli dice. Cioè togliete il peso della legge, e proclamate la grazia [Removete legis pondus; gratiam predicate]. Se si fosse data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe dalla legge; la Scrittura invece ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché venisse data la promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli che credono (Gal 3, 21-22). Dunque: Levate via la pietra! Gli dice Marta, la sorella del morto: Signore, già puzza, perché son quattro giorni che è là. Gesù le dice: Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? (Gv 11, 39-40). Le dice che vedrà la gloria di Dio perché sta per risuscitare un morto di quattro giorni che già puzza. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23); e ancora: Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5, 20). Tolsero, allora, la pietra. Gesù levò gli occhi al cielo e disse: Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Io però sapevo che tu mi ascolti sempre, ma l’ho detto per il popolo che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran voce gridò (Gv 11, 41-43). Fremette, pianse, con gran voce gridò. Quanto è difficile che si alzi chi è oppresso dal peso delle cattive abitudini! E tuttavia si alza: una grazia occulta interiormente lo vivifica e al suono della voce potente si alza [Quam difficile surgit, quem moles malae consuetudinis premit! Sed tamen surgit; occulta gratia intus vivificatur; surgit post vocem magnam]. Che cosa è avvenuto? Con gran voce gridò: Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì con i piedi e le mani legate da fasce e la faccia avvolta in un sudario (Gv 11, 43-44). Ti meravigli che abbia potuto camminare con i piedi e le mani legati, e non ti meravigli che sia risorto un morto di quattro giorni? L’una e l’altra sono dovute alla potenza del Signore, non alla forza del morto. Esce ancora legato; è ancora avvolto, eppure viene fuori. Che significa? Quando disprezzi la grazia di Dio, giaci morto; e se la disprezzi al punto che ho detto, giaci sepolto. Ma quando confessi il tuo peccato, vieni fuori. Che significa infatti venir fuori, se non manifestarsi uscendo come da un nascondiglio? Perché tu abbia a riconoscere la tua colpevolezza, Dio ti chiama a gran voce, cioè con una grazia straordinaria. [Quid est enim procedere, nisi ab occulti velut exeundo manifestari? Sed ut confitearis, Deus facit magna voce clamando, id est, magna gratia vocando] E siccome il morto era uscito ancora legato, come un reo confesso non ancora assolto, affinché fosse sciolto dai suoi peccati, il Signore disse ai servitori: Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11, 44). Che significa scioglietelo e lasciatelo andare? Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli (cf. Mt 16, 19)» (49,19.22-24).
In questo sermone Agostino insiste molto sulla voce di Cristo, sull’ascoltare la sua parola, sul grido esteriore di Cristo al sepolcro, segno di una chiamata interiore della grazia, che muove e risuscita. Che questa parola graziosa ed efficace possa risuonare con tutta la sua potenza anche in questa Domenica di Lazzaro! Che la grazia, tramite la proclamazione del Vangelo, possa smuovere i cuori di tanti alla resurrezione: Audiamus, et resurgamus! (49,14)
Il tema di Lazzaro in relazione alla penitenza ritorna, fra l’altro, in un Sermone che Agostino pronuncia partendo da un versetto del salmo 51(50). Assai interessante, ma non possiamo approfondire ora, l’articolazione fra l’opera della grazia che agisce nel far rialzare Lazzaro (il peccatore reo di colpe mortali) e l’opera di quanti poi slegano il redivivo amico di Gesù dalle bende di cui era fasciato (i ministri della Chiesa, a cui è affidato il compito di sciogliere).
DISCORSO 352, VALORE DELLA PENITENZA.
Occasione del discorso.
1. 1. Nelle parole del Salmo con le quali rispondiamo al salmista: Distogli il tuo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe, si riconosce la voce del penitente. Non avendo preparato prima un discorso da rivolgere alla vostra Carità, abbiamo conosciuto da Dio stesso che questo è l’argomento da trattare. A dirvi il vero oggi volevamo lasciarvi meditare, ben sapendo quanto abbondante alimento spirituale avevate già ricevuto. Voi però assimilate bene il cibo che ricevete, e perciò ogni giorno avete sempre tanto appetito. Che oggi il Signore, Dio nostro, conceda a noi forze sufficienti e a voi un utile ascolto. So bene infatti che io devo essere al servizio della vostra volontà buona e feconda. Ma voi aiutatemi con la vostra preghiera e la vostra attenzione: la preghiera a Dio, l’attenzione a me che parlo, perché io dica ciò che giudica lui esservi utile, lui che vi dà alimento per mezzo mio. La voce che risuona in queste parole del penitente: Distogli il tuo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe indica chiaramente che, per volontà divina, vi debba parlare della penitenza. Non avevo infatti io ordinato al lettore di cantare questo Salmo; Dio stesso ispirò al cuore di questo fanciullo ciò che ritenne utile per il vostro ascolto. Diciamo dunque qualcosa sulla utilità della penitenza, tanto più che è vicino quel santo giorno anniversario [della Pasqua], al quale conviene prepararsi più accuratamente, umiliandosi nell’animo e mortificandosi nel corpo.
La penitenza prebattesimale.
1. 2. Nella sacra Scrittura si trova un triplice modo di far penitenza. Anzitutto non ci si può accostare correttamente al Battesimo di Cristo, nel quale vengono annullati tutti i peccati precedenti, se non facendo prima penitenza della vita passata. Nessuno infatti sceglie un nuovo modo di vivere senza rifiutare quello vecchio. Vediamo ora, sull’autorevole scorta dei Libri santi, se sia richiesta o no la penitenza prima del Battesimo. Quando lo Spirito Santo promesso fu mandato e il Signore compì fedelmente la sua promessa, i discepoli, ricevuto lo Spirito Santo, incominciarono, come sapete, a parlare in tutte le lingue, tanto che fra i presenti ognuno riconosceva la propria lingua. Sgomenti per tale miracolo chiesero agli Apostoli come dovessero comportarsi. Allora Pietro li informò che dovevano venerare colui che avevano crocifisso, perché bevessero da credenti quel sangue che avevano crudelmente versato. Dopo che fu data loro la buona notizia del Signore nostro Gesù Cristo ed essi ebbero riconosciuto il loro delitto, furono punti dal rimorso. Si compì così per loro ciò che il Profeta aveva annunciato: Mi volgo alla mia tristezza mentre una spina mi trafigge. Essi si volsero a tristezza e dolore quando la spina del ricordo di quel peccato li trafisse. Prima pensavano di non aver fatto nulla di male; quella spina non si era ancora ficcata dentro. Ma perché tu sappia che la spina si fissò in loro nelle parole di Pietro, la Scrittura disse: Mentre Pietro parlava si sentirono trafiggere il cuore. Per tale motivo nello stesso Salmo in cui è detto: Mi sono volto alla mia tristezza mentre una spina mi trafigge, segue: Ho conosciuto il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio delitto. Ho detto: Confesserò contro di me al Signore il mio delitto. Tu, allora, hai rimesso l’empietà dal mio. Quando, dunque, trafitti dalla spina di quel ricordo domandavano agli Apostoli che cosa dovessero fare, Pietro disse loro: Fate penitenza; e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, e vi saranno rimessi i peccati. Se, intanto, c’è qui tra i presenti qualcuno del numero di coloro che si preparano ad essere battezzati (e penso che essi siano tanto più assidui all’ascolto della parola quanto più si avvicina il giorno del perdono) a loro anzitutto ci rivolgiamo anche se brevemente, perché sollevino le loro menti alla speranza. Vogliano essi diventare ciò che non sono e abbiano in odio ciò che erano. Concepiscano già col desiderio il nuovo uomo che nascerà in loro e non resti alcun dubbio di non poter essere perdonati, di qualunque cosa li rimorda la vita passata o li tormenti la coscienza, piccola o grande cosa, detta o non detta. Non succeda che il dubbio umano trattenga a proprio danno quello che invece la misericordia di Dio vuole perdonare. […]
1. 6. […] Colui che chiede il battesimo, colui al quale avevo incominciato a rivolgermi, veda ora il suo da fare. Il Mar Rosso prefigurava il Battesimo e la gente che lo attraversava erano i battezzati; il suo attraversamento era il Battesimo, ma sotto la nube. Veniva infatti ancora velato quello che si preannunziava, veniva ancora nascosto quello che era promesso. Ora è scomparsa la nube, è venuto il sereno della verità manifesta: è scomparso infatti il velo dietro al quale parlava Mosè. Quel velo era sospeso nel tempio perché non si vedessero i segreti del tempio, ma con la morte in croce del Signore si squarciò il velo, perché essi apparissero. Tu dunque accostati al Battesimo, imbocca intrepidamente la via del Mar Rosso senza preoccuparti, come fossi inseguito dall’Egiziano, dai peccati passati. Ti opprimevano i peccati con il loro duro peso di schiavitù, ma quando eri in Egitto, cioè quando amavi il mondo presente, quando eri come un pellegrino lontano in terra di esilio. Allora eri indotto a perseguire opere terrene, come costruire laterizi e mettevi su delle costruzioni di fango. Ti pesano i peccati? Vieni al Battesimo fiduciosamente. Il nemico ti può inseguire solo fino al confine dell’acqua; in essa egli morirà. Potresti ancora temere qualcosa della tua vita passata, o credere che possa ancora rimanere qualcosa dei tuoi peccati, solo se fosse sopravvissuto qualcuno degli egiziani. La voce dei pigri mi giunge all’orecchio, essa suona così: “Io non temo i peccati passati. Non dubito che nell’acqua santa, anche per la carità della Chiesa mi vengano rimessi tutti, ma temo per quelli che farò in futuro “. ” Vuoi dunque rimanere in Egitto? Intanto sàlvati dal nemico presente, quello che già ti calpestò e ti rese schiavo. Perché vai pensando ai nemici per il futuro? Quel male che ormai hai compiuto, anche se non lo volessi, c’ è; quello che pensi di fare in avvenire, basta che tu non lo voglia, non ci sarà “. ” Ma la via è pericolosa – dici – e, appena traversato il Mar Rosso, non sarò istantaneamente nella terra promessa; quel popolo fu condotto, e per parecchio tempo, attraverso il deserto “. Tu intanto liberati dall’Egitto. Pensi forse che, lungo il cammino, venga a mancarti l’aiuto di Colui che ti ha liberato dalla schiavitù antica? Non dominerebbe i tuoi nuovi nemici chi ti ha liberato dagli antichi? Basta che tu intrepidamente faccia il passaggio, intrepido prosegua il cammino, e che sia obbediente. Non provocare a sdegno quel divino Mosè di cui il primo Mosè in questa obbedienza era prefiguratore. Lo ammetto: non mancheranno i nemici. Non mancarono allora né per inseguire i fuggitivi né per ostacolarli nel loro cammino. In una parola, miei carissimi, tutti quegli eventi furono prefigurazioni per noi. Ma nel frattempo non ci sia nulla in te che contristi Mosè; non voler essere quell’acqua amara che, dopo aver attraversato il Mar Rosso, la gente non poté bere. Quel fatto costituì un’altra tentazione. Ma anche ora quando avvengono tali cose, quando il popolo si inasprisce, noi mostriamo il Cristo; quali cose per loro è arrivato a sopportare, come per loro abbia versato il suo sangue e allora la gente si placa, come se avessimo messo un legno nell’acqua. Anche tu incontrerai, nel tuo viaggio, un nemico ad ostacolarti: avrai il tuo Amalech. Allora Mosè pregava stendendo le mani. Ma quando le abbassava, Amalech vinceva; quando le rialzava Amalech perdeva. Anche le tue mani siano protese perché sia sconfitto il tuo tentatore Amalech, colui che ti ostacola nel cammino. Sii vigilante e sobrio nel dedicarti alla preghiera e alle opere buone, ma non prescindendo mai da Cristo perché le mani tese di Mosè prefiguravano la croce di Cristo. Su quella croce era l’Apostolo quando diceva: Il mondo è stato crocifisso per me e io per il mondo. Perda dunque Amalech, sia sconfitto, e non impedisca il passaggio del popolo di Dio. Se distogli la mano dall’opera buona, cioè dalla croce di Cristo, Amalech prevarrà. Comunque tu, riguardo al futuro, guàrdati dal ritenerti sempre e subito invincibile o, al contrario, di venir meno per una totale sfiducia. Quell’alternarsi di stanchezza e di vigore nelle braccia del servo di Dio Mosè, alludono forse agli alti e bassi tuoi. Talvolta infatti ti senti spossato nelle tentazioni, ma non soccombi: Mosè abbassava per un poco le mani, ma non crollava. Se io dicevo: Il mio piede vacilla – [canta il Salmo] – ecco che la tua misericordia, Signore, mi veniva in soccorso. Dunque non temere, lo stesso Dio che non venne meno nella liberazione dell’Egitto, ti è presente durante il suo viaggio per aiutarti. Non temere, affronta il cammino e abbi fiducia. Mosè talvolta abbassava le braccia e talvolta le risollevava e infine tuttavia Amelech fu vinto. Amelech poté resistere a Mosè ma non poté vincerlo.
La penitenza quotidiana.
2. 7. Viene ormai opportuno parlare dell’altro tipo di penitenza. Vi avevo infatti prospettato tre tipi di penitenza perché tre ne considera la sacra Scrittura. La prima è per coloro che desiderano accedere al Battesimo, cioè per i ” competenti ” e questa già ve l’ho esposta secondo le Sacre Scritture. Ce n’è poi un’altra, quella quotidiana. [….]
La penitenza straordinaria per i peccati mortali. Possibilità del perdono.
3. 8. Resta da parlare brevemente del terzo tipo di penitenza affinché con l’aiuto dei Signore io adempia ciò che mi sono proposto e che vi ho promesso. C’è un tipo di penitenza più severo e più doloroso. Quelli che la praticano nella Chiesa sono propriamente chiamati ” i penitenti ” e sono esclusi dalla partecipazione al sacramento dell’altare per timore che, ricevendolo indegnamente, essi non mangino e bevano la loro condanna. E` dunque una penitenza dolorosa. Si tratta di una ferita grave: forse è stato commesso un adulterio o un omicidio o qualche sacrilegio. Cose gravi, ferite profonde, letali, mortifere, ma il medico è onnipotente. Per tali azioni, dopo averne accettata la provocazione, il piacere, il consenso e la realizzazione, si è quasi nella condizione di un morto da quattro giorni, che emana fetore. Il Signore tuttavia non abbandonò neanche lui e gli gridò: Lazzaro, vieni fuori! La mole del sepolcro cedette alla voce della misericordia: la morte cedette alla vita, l’inferno al cielo; Lazzaro si alzò, venne fuori dal sepolcro, ma era legato [dalle bende] come lo sono coloro che, accusato il loro peccato, fanno penitenza. Essi sono già sfuggiti alla morte, non potrebbero infatti confessare il peccato se non ne fossero sfuggiti. Lo stesso confessare è un venir fuori dalle ombre e dalle tenebre. Ma che cosa ha detto il Signore alla sua Chiesa? Le ha detto: Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. Questo è il motivo per cui, mentre Lazzaro usciva fuori dalla tomba, il Signore – dopo aver compiuto un beneficio della sua misericordia conducendo [come] alla confessione uno che era già morto, sepolto, putrido – per indicare che lasciava al ministero della Chiesa di compiere le altre cose, disse: Scioglietelo e lasciatelo andare. Ma, carissimi, sia bene inteso che nessuno si deve prospettare un tal genere di penitenza, nessuno vi si prepari. Tuttavia, venendosi a trovare in una tale congiuntura nessuno perda ogni speranza. Ciò che infatti portò Giuda, il traditore, a totale perdizione non fu tanto il delitto commesso, quanto la disperazione di poter trovare ancora perdono. Egli non era degno di misericordia, perciò non gli rifulse nel cuore quella luce che lo avrebbe fatto rivolgere al perdono di Colui che egli aveva tradito, così come vi ricorsero coloro che lo avevano crocifisso. Ma egli, disperandosi, si uccise. Sospendendosi a un laccio morì soffocato: ciò che fece sul suo corpo era avvenuto prima nella sua anima. Si dà infatti il nome di ” spirito ” anche all’aria che si muove in questo nostro mondo. Allo stesso modo di coloro che, impiccandosi, muoiono perché in loro non entra più l’aria di questo mondo, così quanti perdono la speranza del perdono divino restano soffocati dentro per la disperazione stessa, e lo Spirito Santo non può più visitarli.
P.S.: Una coincidenza curiosa: il nuovo saggio di Antonio Socci, uscito proprio ieri, inizia con un commento ai tre brani evangelici che riportano le tre resurrezioni della figlia di Giairo, del ragazzo di Nain e di Lazzaro. https://www.facebook.com/tornatidallaldila?ref=streamcf.
Pingback: La domanda del Signore sulla tomba di Lazzaro: “un’antica consuetudine”? | sacramentumfuturi