Astèrio di Amasea, reloaded

Quasi per farci perdonare il post precedente, ne riproponiamo uno di qualche mese fa. L’Ufficio delle letture di oggi riportava una splendida pagina patristica, da cui avevamo attinto una perla: https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2013/09/14/questa-pecorella-non-e-in-realta-una-pecorella-e-questo-pastore-e-tuttaltro-che-un-pastore/

 Vi lascio alla lettura dell’omelia del Padre della Chiesa, poi, alla fine, ancora due parole di commento:

 

Dalle «Omelie» di sant’Astèrio di Amasea, vescovo  (Om. 13; PG 40, 355-358. 362)

Imitiamo l’esempio del buon Pastore

 Poiché il modello, ad immagine del quale siete stati fatti, è Dio, procurate di imitare il suo esempio. Siete cristiani, e col vostro stesso nome dichiarate la vostra dignità umana, perciò siate imitatori dell’amore di Cristo che si fece uomo.

Considerate le ricchezze della sua bontà. Egli, quando stava per venire tra gli uomini mediante l’incarnazione, mandò avanti Giovanni, araldo e maestro di penitenza e, prima di Giovanni, tutti i profeti, perché insegnassero agli uomini a ravvedersi, a ritornare sulla via giusta e a convertirsi a una vita migliore.

Poco dopo, quando venne egli stesso, proclamò di persona e con la propria bocca: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò» (Mt 11, 28). Perciò a coloro che ascoltarono la sua parola, concesse un pronto perdono dei peccati e li liberò da quanto li angustiava. Il Verbo li santificò, lo Spirito li rese saldi, l’uomo vecchio venne sepolto nell’acqua, e fu generato l’uomo nuovo, che fiorì nella grazia.

Dopo che cosa seguì? Colui che era stato nemico diventò amico, l’estraneo diventò figlio, l’empio diventò santo e pio.

Imitiamo l’esempio che ci ha dato il Signore, il buon Pastore. Contempliamo i vangeli e, ammirando il modello di premura e di bontà in essi rispecchiato, cerchiamo di assimilarlo bene.

Nelle parabole e nelle similitudini vedo un pastore che ha cento pecore. Essendosi una di esse allontanata dal gregge e vagando sperduta, egli non rimane con quelle che pascolavano in ordine, ma messosi alla ricerca dell’altra, supera valli e foreste, scala monti grandi e scoscesi, e, camminando per lunghi deserti con grande fatica, cerca e ricerca fino a che non trova la pecora smarrita.

Dopo averla trovata, non la bastona, né la costringe a forza a raggiungere il gregge, ma, presala sulle spalle, e trattatala con dolcezza, la riporta al gregge, provando una gioia maggiore per quella sola ritrovata, che per la moltitudine delle altre.

Consideriamo la realtà velata e nascosta della parabola. Quella pecora non è affatto una pecora, né quel pastore un pastore, ma significano altra cosa. Sono figure che contengono grandi realtà sacre. Ci ammoniscono, infatti, che non è giusto considerare gli uomini come dannati e senza speranza, e che non dobbiamo trascurare coloro che si trovano nei pericoli, né essere pigri nel portare loro il nostro aiuto, ma che è nostro dovere ricondurre sulla retta via coloro che da essa si sono allontanati e che si sono smarriti. Dobbiamo rallegrarci del loro ritorno e ricongiungerli alla moltitudine di quanti vivono bene e nella pietà.

 

Ex Homilíis sancti Astérii Amaséni epíscopi (Hom. 13: PG 40, 355-358. 362)

[…]

Imitémur eam pascéndi ratiónem, qua Dóminus usus est; Evangélia contemplémur; ibíque, tamquam in spéculo, diligéntiæ et benignitátis exémplum intuéntes, eas perdiscámus.

Illic enim in parábolis adumbratísque sermónibus vídeo centum óvium hóminem pastórem, qui, cum illárum una a grege discessísset et errabúnda vagarétur, non mansit cum illis, quæ servántes órdinem pascebántur; sed, ad eam requiréndam proféctus, multas valles saltúsque superávit, magnos atque árduos montes transcéndit, in solitudínibus peragrándo multo cum labóre támdiu pervestigávit, donec errántem invénit.

Invéntam autem non verberávit, nec urgéndo veheméntius ad gregem cómpulit, sed húmeris suis impósitam et léniter tractátam ad gregem gestávit, maiórem ex una illa invénta, quam ex reliquárum multitúdine, lætítiam percípiens. Rem obscuritáte similitúdinis obvolútam atque recónditam considerémus. Ovis hæc non ovem omníno, nec pastor ille plane pastórem, sed áliud quiddam signíficat.

His exémplis sacræ res continéntur. Nos enim cómmonent, ne hómines pro pérditis ac desperátis habeámus, neve eos in perículis versántes neglegámus aut segnes simus ad feréndum auxílium, sed eos, a recta vivéndi ratióne deflecténtes et errántes, reducámus in viam, eorúmque lætémur réditu, atque ipsos cum bene piéque vivéntium multitúdine coniungámus.

Oggi è l’anniversario dell’elezione di Papa Francesco: avrà trovato nella Liturgia una consolazione per il suo ministero!

Terminiamo con alcune sue parole:

“Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!”

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/angelus/2013/documents/papa-francesco_angelus_20130915_it.html

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