Non cuiuscumque reformationis cupidi, nec novationis malo pruritu accensi…

Qualche tempo fa, avevamo cominciato a presentare qualche cenno a particolari figure di rilievo nell’opera di riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II. Quella eccezionale stagione della vita della Chiesa è, in effetti, assai interessante e molto ancora si dovrà studiare: tanto infatti rimane non del tutto chiarito o addirittura sconosciuto ai più. A una lettura ideologica conviene perpetuare visioni superficiali e non approfondite di come effettivamente andarono le cose. Chi invece affronta senza pregiudizi la fatica di addentrarsi nei documenti e nelle vicende personali dei testimoni, non mancherà di occasioni di stupore riconoscente, nel constatare che, insieme alle consuete piccolezze degli attori umani, in quella storia vi fu qualcosa di più della volontà di uomini. Questo non significa che non vi siano stati Padri audaci, che con mitezza intrepida e fermo rispetto, favorirono l’avanzamento delle istanze di riforma che furono suggellate dall’approvazione pressoché unanime della Costituzione liturgica. Pensiamo, tuttavia, che il fatto che si dimostrò più convincente l’intervento di un semplice vescovo della periferia – si direbbe oggi -, proveniente da una piccola e davvero periferica diocesi della Francia, rispetto all’autorevole presa di posizione del Prefetto della Congregazione dell’allora Sant’Uffizio, risulta davvero sorprendente.

Vediamo subito, anche se dobbiamo fare una piccola introduzione. Uno dei passaggi “difficili” dell’iter dei lavori conciliari fu il passaggio dello schema preparatorio della Sacrosanctum Concilium dalla Commissione Preparatoria De Liturgia alle mani di ciascuno dei Padri Conciliari. Il testo, che pure era stato approvato in toto dalla Commissione Centrale, dopo averne recepito gli emendamenti, arrivò ai Padri, qualche tempo prima dell’avvio dei lavori Sinodali, modificato in alcuni passaggi e, soprattutto, privato delle “declarationes”, ossia dei testi che accompagnavano i singoli vota, i numeri, del testo, esplicitando meglio quanto in maniera succinta e generica veniva riassunto nei paragrafi dello schema ufficiale, con esemplificazioni, spiegazioni e indicazioni interpretative. Alcuni numeri, privati delle declarationes, apparivano effettivamente troppo generici o inconcludenti. Questo inconveniente causò intoppi e tensioni nelle discussioni in aula. Un esempio di quanto detto può essere il numero sulla riforma dell’Ordo Missae, allora il numero 37. Il testo presentato ai Padri recitava solamente: «Ordo Missae ita recognoscatur, sive in generali dispositione sive in singulis partibus, ut clarius percipiatur et actuosam participationem fidelium faciliore reddat». Si può comprendere la difficoltà di alcuni di fronte alla laconicità del testo. E la pericolosità di una sostanziale ambiguità di un testo, che per non urtare nessuno alla fine produceva solo confusione.

Mentre si discuteva intorno al capitolo II dello schema, quello in cui appunto era collocato il n. 37, il 5 novembre 1962, nella XII Congregatio generalis, prese la parola mons. Jenny, già a noi conosciuto per l’intervento in seno alla plenaria della Commissione preparatoria[1]. Con semplicità, unita a franchezza, centrò il problema intorno a questo paragrafo, insieme alle difficoltà che si andavano palesando in modo polemico, denunciando la mancata diffusione della rispettiva declaratio, che ne avrebbe precisato la portata, smentendo i preventivi indugi e le pregiudiziali resistenze, che già alcuni Padri avevano manifestato. Offriamo una nostra traduzione dal latino, riportando alla fine anche il testo latino, per un possibile confronto. In prossimi post ritorneremo su alcuni spunti offerti dal testo di Jenny. Per oggi sia sufficiente la lettura: il commento verrà; ciascuno, comunque, potrà già fare le sue osservazioni.

 Vogliate scusarmi se dirò qualcosa intorno al n. 37 «Sia rivisto l’Ordo Missae». Questo numero è di grande rilevanza nel capitolo II. Alcuni Padri chiedono: «Perché e in che modo si debba rivedere l’Ordo Missae?[2]». Senza dubbio dobbiamo sapere più chiaramente di quanto precisamente si tratti qui. Vogliare ascoltare, Venerabili Padri, la risposta. Se di questo numero 37 le parole sono poco chiare, ciò è accaduto dopo la sopressione della «declaratio», che era stata preparata dalla Commissione De Liturgia, assolutamente necessaria per capire l’intenzione di codesta revisione. Non smaniosi di qualsivoglia riforma, né eccitati da un cattivo prurito di innovazione (Non cuiuscumque reformationis cupidi, nec novationis malo pruritu accensi), non per accorciare la Messa né per appesantirla, quanto piuttosto ispirati dallo zelo per la gloria di Dio e dall’amore per la santissima Messa, nella commissione preparatoria Pastori insieme ad esperti, e alcuni illustri, si sono dati da fare con tutte le forze.

Poi continua, prendendo spunto dalla declaratio, che lui certamente conosceva, essendo stato membro della Commissione preparatoria.

 Infatti, l’odierno Ordo Missae, che si formò nel decorso dei secoli, è certamente da ritenere. Tuttavia pare che ci siano qua e là alcune cose da emendare, con l’aiuto di studi compiuti sia intorno all’origine sia intorno allo sviluppo dei singoli riti, affinché la natura e il significato di ciascuna parte sia posto in più chiara luce, e pure perché sia resa più facile la partecipazione dei fedeli e così il Padre Nostro e Signore, dal popolo santo, per Gesù Cristo sia meglio conosciuto, amato e adorato. E quindi, prima che possiamo avere la declaratio integra davanti agli occhi, ora sia sufficiente, Venerabili Padri, – ma è necessario – che di quella riassumiamo brevemente i punti di più grande importanza. e così possiamo essere messi chiaramente edotti sui principi per la riforma della Messa.

1. Le preghiere ai piedi dell’altare siano in certa misura diminuite.

2. Siano distinte in modo più chiaro le due parte della Messa: vale a dire la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica; la qual cosa sarà ottenuta differenziando il luogo di ciascuna: il luogo per l’Eucaristia è l’altare; per la Liturgia della parola, versus populum: la sede e gli amboni.

3. Nella Messa si facciano assai meno frequenti i segni di croce, i baci all’altare, le genuflessioni e cose simili.

4. Il rito dell’Offertorio sia disposto in modo tale che appaia maggiormente la partecipazione del popolo. Le preghiere del sacerdote, che hanno un sapore di pietà piuttosto privata e individuale, siano riviste; l’orazione sulle offerte sia detta a voce chiara.

5. Nel Canone della Messa, le preghiere principali, perlomeno la dossologia siano pronunciate ad alta voce così che il popolo possa acclamare Amen, che dovrebbe essere solo alla fine.

6. La frazione dell’Ostia e la Pace siano meglio disposte.

7. La formula per la comunione sia più breve: “Corpus Christi”, con la risposta “Amen”.

8. La messa sia conclusa con la benedizione del sacerdote e la formula di congedo.

9. La messa solenne con il diacono sia resa prassi ordinaria.

10. La messa Pontificale sia celebrata con un rito più semplice.

Questi sono i punti principali. Poiché la Messa, specialmente quella domenicale, arreca al popolo di Dio così tanto per una maggiore lode di Dio, per alimentare la fede, per salvare le anime, occorre che quel Sacrificio della Messa riveli manifestamente a tutti i fedeli lo splendore ed equilibrio nelle sue parti, l’unità nelle sue molteplicità, nei suoi momenti la via di ascesa al Padre. Tale è la speranza di molti nella riforma dell’Ordo Missae.

E così consegno l’emendazione scritta al’Ecc.mo Signor segretario, perché renda più chiaro il numero 37. Ho detto.[3]

 

 Veniam mihi dare velitis ut aliqua dicam de n. 37: «Ordo Missae recognoscatur». Hic numerus maximi est momenti in cap. II. Aliqui ex Patribus interrogant: cur et quomodo recognoscendus Ordo Missae? Profecto clarius scire debemus de quanta re hic praecise agatur. Responsionem audire velitis, venerabiles Patres. Si obscura verba sunt huius n. 37, hoc accidit post «declarationem» suppressam, quam paraverat commissio de Liturgia, necessariam omnino ad mentem istius recognitionis intelligendam. Non cuiuscumque reformationis cupidi, nec novationis malo pruritu accensi, non ad contrahendam Missam neque gravandam, sed potius gloriae Domini zelo ac sanctissimae Missae amore inspirati, in commissione preparatoria, pastores una cum peritis, et quidem illustribus, enixe adlaborarunt. Hodiernus enim Ordo Missae qui decursu saeculorum succrevit certe retinendus est. Nonnulla tamen passim emendanda videtur, ope studiorum quae peracta sunt sive circa originem sive circa evolutionem singulorum rituum, ita ut cuiusque partis natura et significatio in clariore luce ponatur, nec non fidelium participatio [actuosa] facilior reddatur et ideo Pater noster et Dominus melius a populo sancto per Iesum Christum cognoscatur, ametur et adoretur. Et ideo, antequam declarationem ipsam integram prae oculis habeamus, nunc sufficit, Patres venerabiles, sed necessarium est, ut illius puncta maioris momenti breviter complectamur ac ita de principiis pro reformanda Missa clare doceamur:

1. Preces ad gradus altaris aliquatenus minuendae.

2. Clarius distinguendae duae partes Missae: Liturgia nempe verbi et Eucharistica; quod obtineretur cuiusque locum separando: pro Eucharistia locus est altare; pro Liturgia verbi, versus populum: sedes et ambones.

3. Rariores in Missa fiant cruce signationes, altaris oscula, genuflexiones et alia huiusmodi.

4. Ritus Offertorii ita describatur ut populi participatio magis appareat. Orationes sacerdotis, quae potius privatam vel singularem pietatem sapiunt, recognoscendae; oratio super oblata clara voce dicenda.

5. In Canone Missae, preces praecipue, saltem doxologia finalis, elata voce dicantur ita ut populus clamare valeat: Amen, quod in fine tantum exstare deberet.

6. Fractio hostiae et Pax melius ordinentur.

7. Formula ad Communionem brevior sit: “Corpus Christi”, cum responso “Amen”.

8. Missa compleatur benediction sacerdotis et formua dimissionis.

9. Missa solemnis cum diacono in ordinaria praxi restituatur.

10. Missa Pontificalis simpliciori ritu celebretur.

Illa sunt puncta principaliora.

Cum Missa, praesertim dominicalis, populo Dei tantum afferat ad laudem Domini mariorem, ad fidem nutriendam, ad animas salvandas, oportet ut illud Missae Sacrificium, in suis partibus splendorem et aequilibrium, in suis varietatibus unitatem, in suis momentis viam ascensionis ad Patrem omnibus fidelibus manifeste demonstret. Talis est multorum spes in recognoscendo Ordine Missae. Itaque emendationem scriptam trado exc.mo Domino secretario, quae clariorem reddat n. 37. Dixi.


[2] Anche se non vi è nessun riferimento esplicito, confrontando i testi, si può con tutta sicurezza ritenere che Jenny intendesse in certo modo rispondere all’intervento del Card. Ottaviani, che polemicamente chiuse la porta ad ogni istanza di riforma. Ritorneremo su questo discorso.

[3] Acta Synodalia, Volumen I (Periodus prima), pars II (Congr. gen. X-XVIII), Città del Vaticano 1970, 121-122.

Un pensiero su “Non cuiuscumque reformationis cupidi, nec novationis malo pruritu accensi…

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