C’è alacrità e alacrità. O meglio, non c’è una senza l’altra.
La colletta della terza domenica di Avvento presenta un’immagine curiosa: Dio che “guarda” il suo popolo che si prepara, tutto sollecito, a celebrare il mistero del Natale.
Guarda, o Padre, il tuo popolo,che attende con fede il Natale del Signore,
e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della Salvezza. |
Deus, qui conspicis populum tuumnativitatis dominicae festivitatem
fideliter exspectare, praesta, quaesumus, ut valeamus ad tantae salutis gaudia pervenire, et ea votis sollemnibus alacri semper laetitia celebrare. |
Da una parte vi è la comunità dei fedeli, descritta nell’eucologia dei giorni precedenti, con note caratteristiche:
– con la volontà di andare incontro con le buone opere [a Cristo che viene]
– perseverante nel bene
– nell’attesa fervida e operosa
– instancabile nell’attesa
– impegnata a preparare le vie [del Figlio di Dio]
– vigile nell’andare incontro [al Figlio] con le lampade accese.
Insomma, si tratta di un attendere tutt’altro che immobile e passivo. E’ una preparazione sussultante e dinamica.
Esteriormente, si potrebbe pensare alla strana eccitazione dei giorni precedenti al Natale, nei quali le vie delle città si riempiono di persone frettolose e indaffarate alla ricerca frenetica di regali; e nei supermercati si allungano le file per le ultime spese, che arricchiranno i pranzi e le cene delle feste.
Naturalmente, non è solamente questo l’alacrità suggerita dalla colletta. Effettivamente, nel senso dell’aggettivo alacĕr vi è anche la sfumatura “agitato”, ma pure “eccitato”, “commosso”, “gioioso”, “allegro”, “pronto”, “disposto”, “agile”, “destro”, “svelto”, “pieno di vita”, anche “focoso”, “entusiasta”, “ardente”, “esuberante”. Alacrità è anche “foga”, “voglia”, “vivacità”.
In una prospettiva più interiore, Leone Magno descrive in modo completo l’alacrità cristiana e natalizia, nel suo celebre Sermone, proclamato nell’Ufficio delle Letture la notte di Natale:
Nessuno è escluso dalla partecipazione a questa gioia. Il motivo del gaudio è unico per tutti, perché il Signore nostro, che ha distrutto la morte, come non ha trovato nessuno immune dalla colpa, così è venuto a liberare tutti gli uomini. Esulti il santo, perché si avvicina al premio. Gioisca il peccatore, perché è invitato al perdono. Riprenda animo il pagano, perché è chiamato alla vita. | Nemo ab huius alacritatis participatione secernitur, una cunctis laetitiae communis est ratio, quia Dominus noster, peccati mortisque destructor, sicut nullum a reatu liberum repperit, ita liberandis omnibus venit. Exsultet sanctus, quia propinquat ad palmam. Gaudeat peccator, quia invitatur ad veniam. Animetur gentilis, quia vocatur ad vitam. |
Essere alacre nell’intimo significa dunque gioire insieme, esultare, riprendere animo, per poi manifestare anche esteriormente tale stato d’animo in una vivezza allegra e in un’operosità non tanto frenetica e iperattiva, quanto entusiasta, serena e leggera.
Questo movimento da dove parte? E’ un’iniziativa dell’uomo? C’è qualcosa che ad esso corrisponde?
La colletta della prima domenica di Avvento bilanciava in modo assai equilibrato la sottolineatura dell’atteggiamento dell’uomo (volontà di andare incontro con le buone opere) con un chiaro termine (al tuo Cristo che viene). E’ Cristo che viene ad eccitare il fervore, la gioia e il dinamismo dei fedeli.
In altri luoghi, la liturgia lo afferma in modo assai chiaro e poetico: è Cristo il “vero alacre”:
Procedat e thalamo suo,pudoris aula regia,
geminae gigas substantiae alacris ut currat viam. Cf. Hymnus ad Officium lectionis (Tempus Adventus post diem 16 decembris) |
Avanzi dal suo talamo,l’aula regia del pudore,
il gigante dalla duplice natura, per percorrere veloce la sua via. La versione italiana, presente nel Salterio, recita così: Come sole che sorge, come sposo dal talamo, Dio viene a salvarci. |
Cristo, è Lui il zelante, sollecito e gioioso come uno sposo, che viene incontro all’uomo, è Lui che ha fretta, che è esultante e tutto desideroso di portare la salvezza, compiendo la sua via, la sua missione.
Il salmo 19(18), 5-7 (da cui Ambrogio ha preso queste espressioni) dice: “Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale: esulta come prode che percorre la via. Sorge (egressius eius) da una estremo del cielo e la sua orbita (et occursus eius) raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore”. Anche quest’ultimo versetto è ripreso nell’inno santambrosiano (lamentabilmente tale strofa non è riportata dall’inno liturgico, per non renderlo eccessivamente lungo): “La sua uscita dal Padre e il ritorno al Pare, la sua discesa fino agli inferi e il suo ritorno al regno di Dio (Egressus eius a Patre, regeressus eius ad Patrem, excursus usque ad inferos, recursus ad sedem Dei)”. Questa è la via, il mistero della salvezza, che Cristo inaugura nell’Incarnazione, quando giunge la pienezza dei tempi.
Azzardando un’espressione, osando un’analogia forse eccessiva, potremmo dire che come oggi i cristiani “non vedono l’ora che sia Natale”, così Cristo “non vedeva l’ora” di dare inizio temporale al mistero della salvezza.
Un altro riferimento a questa santa fretta, a questa santa alacrità si potrebbe forse trovare in altri versetti della Scrittura che la liturgia del tempo di Natale rilegge ed usa in modo affascinante. Cf. Sap 18,14-15: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò..”. L’antifona di ingresso del 30 dicembre (qualora non ricorra la domenica) e della II Domenica dopo Natale recita così: “Dum medio silentium teneret omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens sermo tuus, Domine, de caelis a regalibus sedibus venit”. Il salmo che gli corrisponderebbe è il 93(92): “Il Signore regna, si riveste di maestà: si riveste il Signore, si cinge di forza”. Non è curioso che la strofa dell’inno di sant’Ambrogio che segue quella citata sopra reciti così: “Aequalis aeterno Patri, carnis trophaeo cingere, infirma nostri corporis, virtute firmans perpeti”? (Consostanziale e coeterno al Padre, cingiti del trofeo della carne, rafforza con il tuo indefettibile vigore, rinsalda la debolezza del nostro corpo).
Ma siamo andati ormai troppo lontani, ammaliati dai luccichii e dagli echi della liturgia.
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