In questi giorni non ho potuto aggiornare il blog come avrei voluto. Sto lavorando parecchio per scrivere alcune note sulle fasi pre-redazionali della Costituzione liturgica, e non non rimane tempo per altro. Sono costretto a riprendere quanto ho scritto qualche anno fa, che rimane però attuale…
Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, fra le norme generali che avrebbero dovuto guidare la riforma e l’incremento della stessa liturgia, affermava un principio assai chiaro:
«Massima è l’importanza della sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa infatti vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare, del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni. Perciò, per favorire la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga promossa quella soave e viva conoscenza della sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali sia occidentali» (SC 24).
Se il primo dato di questo numero della SC sembra ormai acquisito, e un pieno recupero dell’importanza della Bibbia nella Liturgia è testimoniato anche dall’estesa produzione teologica a riguardo[1], la seconda indicazione di questo paragrafo della Costituzione non sembra essere stata recepita in modo similmente compiuto e radicato: nelle questioni relative alla riforma della liturgia, sia nel favorire il processo di approfondimento sia nel valutare il lavoro fin qui fatto, raramente ci si sofferma su quello che SC afferma come necessità[2]. A pochi anni dal cinquantenario dell’approvazione della SC, rimane purtroppo lecito e giustificato dubitare dell’effettiva recezione del dettato conciliare: «Non c’è forse da chiedersi se non si sia ancora una volta relegato la Parola nella penombra, invece di metterla al centro di qualunque riforma, progresso e adattamento?»[3].
Un esempio palese ed evidente di tale difficoltà lo si ha nel caso particolare dell’Ordo Paenitentiae, riformato secondo le indicazioni conciliari e pubblicato da Paolo VI nel 1974. Infatti, nel caso di questo sacramento, se da un parte il libro liturgico rinnovato presenta il più ricco e abbondante lezionario biblico di tutti i rituali dei sacramenti della riforma del Vaticano II[4], d’altra parte proprio tale lezionario pare – paradossalmente – il meno usato nelle concrete celebrazioni della penitenza, specialmente nella modalità più diffusa, quella del rito per la riconciliazione di singoli penitenti[5]. Con il nuovo Rituale della penitenza si è dunque ottemperato a quello che il Concilio auspicava, sia nel numero citato sopra, sia in un altro luogo – «In celebrationibus sacris abundantior, varior et aptior lectio sacrae Scripturae instauretur» (SC 35,1) – ma una piena recezione di tali auspici di riforma è ancora lontana dall’essere raggiunta.
in M. Felini, La Parola della riconciliazione. L’ascolto della Parola di Dio nel rituale della penitenza di Paolo VI, Roma 2013, 1-3
[1] Sia sufficiente ora segnalare solo alcuni contributi esemplificativi e rimandare alla bibliografia ivi indicata: cf. A. M. Triacca, «Bibbia e liturgia», in Liturgia, edd. D. Sartore – A. M. Triacca, C. Cibien, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 256-283; R. De Zan, «Bibbia e Liturgia», in Scientia Liturgica. Manuale di liturgia I, Introduzione alla liturgia, ed. A. J. Chupungco, Casale Monferrato (AL) 1998, 48-66. Cf. anche T. Federici, «Parola di Dio e liturgia della Chiesa nella Costituzione Sacrosanctum Concilium», N 15 (1979) 684-722.
[2] «Questa affermazione fatta dal Magistero sembra essere in qualche modo lasciata, almeno per quest’ultimo periodo, in penombra. Forse ci sono problemi più urgenti da affrontare, ma è giusto notare come negli ultimi interventi magisteriali riguardanti la riforma il progresso e l’adattamento, non sia mai stato affrontato il problema da questo punto di vista così chiaramente indicato dal Concilio: senza il gusto vivo e saporoso della Scrittura proveniente dai riti delle tradizioni orientali e occidentali non c’è riforma né progresso né adattamento. Sicuramente questa affermazione conciliare non esclude che ci siano altri elementi da tener presente come la dimensione antropologica delle problematiche, ma il fondamento è solo nella Parola»: R. De Zan, «La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium e i suoi rapporti con la Dei Verbum», Liturgia (CAL) 41 (2007) 10. «Nella Sacrosanctum Concilium la Sacra Scrittura è stata assunta come norma e giudizio per comprendere la liturgia e riformare la sua prassi»: P. Marini, Liturgia e bellezza. Nobilis pulchritudo, Città del Vaticano 2005, 56. Si può dire che sia stato completamente recepito questo dato? Sembrerebbe che ancora non sia stato fatto tutto il possibile, e che si debba costatare che «ancora oggi la Liturgia della Parola è considerata di fatto l’ancilla – nel senso più debole del termine – la serva povera e disprezzata del percorso di riforma della liturgia e nell’itinerario celebrativo»: G. Midili, «La Chiesa proclama la Parola e lo Spirito suscita la preghiera», CeF 95 (2010) 19.
[3] De Zan, «La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium», 13. Il paragrafo iniziava con altre domande assai interessanti: «La Liturgia sta perdendo in qualche maniera quello slancio che aveva subito dopo il Concilio? Se questo fosse vero, quali potrebbero essere i motivi? Basta affermare che certe scelte di adattamento e inculturazione quanto meno discutibili hanno costretto a interventi chiari del Magistero, frenando in qualche modo lo slancio?».
[4] I numeri 101-201 di OP riportano, fra letture dell’At, salmi responsoriali, letture del Nt e dei Vangeli, 101 brani biblici. A questa vasta gamma di letture da scegliere si possono poi aggiungere altre citazioni esplicite di testi biblici, come testi vari e formule con altre finalità (ad es. in numeri 67-71 presentano testi per invitare i penitenti alla fiducia in Dio). Cf. R. Falsini, «La liturgia della parola nelle celebrazioni sacramentali», RPL 198 (1996) 34.
[5] Per la situazione dell’Italia, si veda la ricerca promossa dalla Conferenza Episcopale e curata da V. Grolla, «La situazione della liturgia in Italia. Ricerca socio-religiosa», RL 69 (1982) 384-413. In particolare la pagina 402: «Da parte degli “esperti” c’è una duplice convergenza: anzitutto che era necessaria una riflessione teologica e pastorale più coraggiosa capace di rivedere tutto il quadro in cui si colloca il Rito della Riconciliazione e non solo i particolarismi celebrativi, per cui ora si avverte come il rito giaccia su un terreno teologicamente e pastoralmente incompleto con la aggravante di notevoli difficoltà culturali; in secondo luogo che nella prassi il nuovo Rito è stato quasi completamente disatteso (generalizzazione della prima forma, mantenimento della prassi precedente come modo e come luogo, estromissione della parola di Dio, mancato impegno nel far comprendere il nuovo stile della celebrazione, vanificazione della dimensione comunitaria e celebrativa della misericordia di Dio) per cui il Rito situa dei “perdonati” e non dei “convertiti”».