In questi giorni ho ripreso in mano un libro di Klaus Gamber, Die Reform der Romischen Liturgie (ne ho la versione inglese, The Reform of the Roman Liturgy: Its Problems and Background, 1993; sul web se ne trova una versione italiana: http://it.scribd.com/doc/75392460/Klaus-Gamber-La-riforma-della-liturgia-romana)
La prefazione di J. Ratzinger alla traduzione francese lo rende un testo cui prestare attenzione (il testo della prefazione si può trovare sul web – in italiano: http://www.messainlatino.it/pag11_sito.htm).
Klaus Gamber è di per sè autorevole, e con senso di rispetto sfoglio le pagine del libro, sottolineando quanto mi pare significativo e annotando osservazioni e spunti interessanti. A margine dei paragrafi, diventano però numerosi gli interrogativi che vado via via appuntando. In effetti, l’incedere dell’argomentazione è piuttosto discorsiva e i giudizi abbastanza drastici e, soprattutto, senza troppe spiegazioni e rimandi.
Una delle questioni principali è – in termini attuali – la discontinuità fra la liturgia preconciliare e quella seguita alla riforma auspicata dal Vaticano II. Di quest’ultima viene stigmatizzata la rottura radicale con il portato della tradizione, espressa nella liturgia post-tridentina.
Senza entrare in tutti gli ambiti del libro, pare interessante e significativo accennare alla valutazione sul nuovo Ordine delle Letture della Messa.
L’indicazione della Costituzione Conciliare (Sacrosanctum Concilium 35) non viene messa in discussione, ma se ne discute l’applicazione concreta. Per la verità il paragrafo dove incomincia l’argomentazione pare essere abbastanza conciliante: “Non c’è niente da dire contro la Liturgia della Parola, o Liturgia Verbi, del nuovo Ordo della Messa. Nè obiettiamo alla possibilità di più di una lettura della Scrittura, ad es. dall’Antico Testamento…”. Poche righe più sotto, Gamber ci sorprende: “Tuttavia, c’è molto da dire contro il nuovo Ordine delle Letture”!! (Gamber, The Reform, 50-51).
Il problema, ci pare di capire, sarebbe che la nuova distribuzione delle letture “abolisce” quella tradizionale. Qualche ritocco, qualche aggiunta di una lettura qui e là avrebbe potuto essere sufficiente, pare insinuare Gamber. Eppure SC 51 afferma in modo chiaro: “Affinchè la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia, di modo che, in un determinato numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura”.
Un altro ragionamento ci riesce comprensibile. L’autore afferma che sarebbe stata una vera riforma conservare l’ordine tradizionale, inserendo testi addizionali ad libitum da cui scegliere (Gamber, The Reform, 74). Del nuovo Ordo non si discutono le scelte e le pericopi bibliche assegnate ai vari cicli e tempi dell’anno liturgico, ma è problematico – al limite dello scandalo – il fatto che abbia rimpiazzato il tradizionale sistema delle letture, che tuttavia anche Gamber riconosce come povero e da arricchire (più autorevole di Gamber o di ogni altro eminente studioso rimangono i paragrafi SC 35 e 51 di SC!). Rimane difficile da immaginare come sarebbe da attuarsi la da lui auspicata inserzione di testi ad libitum: chi avrebbe dovuto scegliere? ogni vescovo diocesano per la sua chiesa? il singolo celebrante? Poco dopo un’altra critica sorprendente – seppur assolutamente condivisibile in sé: ci sono pastori (?) che sostituiscono testi della Scrittura con passaggi dagli scritti di Karl Marx e Mao Tse-Tung; o persino, se fosse rilevante, si legge qualcosa da un quotidiano: “è abbastanza facile distruggere un antico ordine, ma crearne uno nuovo è qualcosa di più complicato” (Gamber, The Reform, 75) . Si può così semplicemente ascrivere alla responsabilità del nuovo sistema di letture il fatto che ci siano ministri che compiono tali abusi? E se ciò – lamentabilmente – accade con un così solido e strutturato impianto biblico, cosa succederebbe se fosse a regime la proposta di Gamber di testi ad libitum?
Si può leggere con benevolenza l’argomentazione dell’autore, cogliendone la passione e lo struggimento, e condividerne in termini generali le questioni sottese. Ma non si può – onestamente – tacere che talune osservazioni paiono al di fuori di ogni logica e verità.
Illogica – e finisco – è la nota 50, al paragrafo già citato sopra: “Non c’è nulla da dire contro la Liturgia della Parola, o Liturgia verbi…”. La nota: “Liturgia verbi è la traduzione di un’espressione tedesca Wortgottesdienst (Liturgia della Parola); […] Questa espressione non è del tutto conveniente; una migliore avrebbe potuto essere Lehrgottesdienst (Liturgia dell’insegnamento)” (Gamber, The Reform, 50) [La versione italiana segnalata sopra traduce servizio divino dell’insegnamento].
Qui riecheggia l’antico uso di separare – non solo concettualment – la Messa in due momenti distinti, di cui il primo veniva chiamato Liturgia didattica. Senza entrare nella questione, tutto farebbe pensare che Gamber apprezzasse questo aspetto didattico, se vorrebbe che questa parte del rito della messa venisse chiamato “liturgia dell’insegnamento”. Invece, poco più avanti stigmatizza il nuovo ordine delle letture perchè “seguendo i concetti su cui è basato il culto Protestante, è strutturato primariamente per lo scopo di insegnare al popolo e provvedere alla sua edificazione” (Gamber, The Reform, 70-71). Quale è l’argomento che dobbiamo ritenere?
Preferiamo rimanere fedeli al dettato conciliare, che risolve e riconcilia tensioni e contrasti ingiustificati:
“La sacra liturgia, benchè sia principalmente culto della maestà divina, è anche una ricca fonte di istruzione per il popolo (continet populi fidelis eruditionem. [….] Perciò non solo quando si legge ‘ciò che è stato scritto a nostra istruzione (Rm 15,4)’, ma anche quando la chiesa o prega o canta o agisce, la fede dei partecipanti è alimentata, le menti sono elevate verso Dio per rendergli un culto spirituale e ricevere con più abbondanza la sua grazia” (SC 33).
“La predicazione sia attinta prima di tutto dalla fonte della Sacra Scrittura e della liturgia, come annunzio delle meraviglie compiute da Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo, mistero che è sempre presente e operante in noi, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche” (SC 35,2).
“Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto (SC 56).
Invece di rimanere ancorati su polemiche sterili e continuare a esprimere giudizi categorici e apodittici, perchè non cercare nello studio paziente delle questioni l’avvicinamento alla verità? Ecco perchè un modo costruttivo di rispondere alle obiezioni di Gamber ci sembra sia quello di studiare ancora più a fondo le motivazioni e i passaggi della riforma.
A questo proposito ci pare utile segnalare un testo fino a poco tempo fa inedito, che mostra con quanta cura e paziente lavoro si adoperarono gli uomini preposti all’attuazione di quanto Sacrosanctum Concilium chiedeva: cf. A. Lameri, “Ordo lectionum: un documento inedito della fase preparatoria al Concilio”, in CVII – Studi e Ricerche 6 (2012) 121-132.
Grazie per questi chiarimenti. Pur amando il Lezionario rinnovato e incrementato, devo però dire che mi lasciano l’amaro in bocca certe conclusioni in tono minore, per quanto esegeticamente corrette: l’Annunciazione, la Visitazione, l’episodio del cieco nato, tanto per fare alcuni esempi.
Mi rendo conto che la problematica è complessa e che diversi sono gli interessi in gioco.
Ne potrebbe parlare in questo blog?
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